In un altro blog in cui parlavo di arte avevo creato una rubrica, ‘Attimi’ per raccontare di (copio da quanto avevo scritto) ‘opere meno note di artisti celeberrimi, di dettagli che possono sfuggire quando si visita una collezione d’arte, un grande museo, un palazzo affrescato dove gli oggetti che chiedono la nostra attenzione sono così tanti che qualcosa necessariamente si trascura. Di particolari che a mio parere sono imperdibili e che meritano di essere sottolineati.’
Si può apprezzare ed amare un dipinto (come qualsiasi altra
cosa del resto) anche solo per alcuni suoi particolari, per un singolo
dettaglio. E nell’opera di oggi, la Fruttivendola di Vincenzo Campi c’è
a mio parere un dettaglio che la rende indimenticabile, per cui ho scelto di
parlarne qui: il cesto ricolmo di baccelli (questo è il termine toscano, penso
che in italiano si chiamino ‘fave’) appena colti che si mischiano ai fiori rosa
con i petali delicatissimi e fragili.
le foto dei dettagli sono mie |
Vincenzo Campi (Cremona, 1536 - 1591) è il più
giovane dei tre fratelli Campi (Giulio e Antonio gli altri due), protagonisti
con la loro bottega della vivace stagione artistica che caratterizza Cremona alla
fine del XVI secolo. Città di confine, Cremona è il crocevia di suggestioni
diverse: la ‘maniera’ di derivazione raffaellesca e michelangiolesca,
l’attenzione al colore di matrice veneta, la sempre presente vocazione
naturalistica tipica dell’arte lombarda.
Per l’attenzione tutta lombarda al ‘dato di natura’ Mina
Gregori in un saggio del 2004 faceva due considerazioni: “… la Lombardia era
una società contadina di origine feudale, anche se ebbe vivaci e battagliere
città comunali, la sua base contadina serve a spiegare l’atteggiamento
fondamentalmente empirico..” e poi ancora “..vista nell’area allargata padana
la Lombardia usufruì della cultura delle grandi università di Pavia e Padova,
la cui tradizione .. di filosofia aristotelica impresse alla civiltà del Nord,
ritengo, un immanente rapporto con la realtà sensibile che esercitò un decisivo
influsso sulle arti...”.
Ebbene mi sembra che in questa Fruttivendola (dipinta
intorno al 1580) si possano rintracciare entrambe queste suggestioni: la
matrice contadina evidentissima nella abbondanza di frutta e verdura riprodotta
dal pittore quasi a significare la ricchezza di una terra generosa e la
sapienza scientifica aristotelica per la attenta definizione botanica con la
quale vengono rappresentate le diverse varietà.
Vincenzo Campi - La Fruttivendola (1580 ca. Milano Pinacoteca di Brera) |
Il dipinto è tradizionalmente intitolato La Fruttivendola,
anche se qui non c’è traccia di mercato, vediamo solo una giovane donna con una
bella camicia bianca dal collo pieghettato e una sorta di abito contadino della
festa. E’ circondata da cesti, vassoi e ciotole piene di frutta e ortaggi: ci
sono pesche, fichi, ciliegie, piselli e zucche, carciofi asparagi e il cesto di
baccelli che trovo bellissimo e molto altro. Frutti appartenenti a stagioni
diverse dell’anno, difficile quindi pensarli tutti insieme sul banco di un
mercato. Sono riprodotti con grande abilità e un tessuto pittorico attento alle
sfumature di colore e di luce. Osservate anche la varietà dei recipienti:
piccole ceste di vimini intrecciato, vassoi di ferro, ciotole di ceramica o coccio,
la grande tinozza di legno che contiene l’uva in primo piano. I cesti
intrecciati sono tutti differenti così come i decori delle ciotole di coccio.
Un campionario di oggetti e di frutta in cui Vincenzo Campi dimostra tutta la
sua abilità nel riprodurre particolari minuti e la differenza tattile dei
materiali.
Sicuramente meno ‘naturale’ e più di maniera è il gesto
della ragazza che solleva con un certo artificio un grappolo di uva,
l’accensione improvvisa dei nastri rossi che ornano le maniche dell’abito, il
sorriso vagamente accennato, gli occhi che sembrano non guardare niente e il
suo volto un po’ convenzionale, nel quale è difficile scorgere un ritratto al
naturale. Suggestioni ancora diverse nel paesaggio sullo sfondo in cui la
nebbia sembra avvolgere un paese in un lontano orizzonte, verso il quale il nostro
occhio è attirato dalle torsioni di un piccolo corso d’acqua. Alla destra della
ragazza invece due piccole figure una contadina piegata a raccogliere la frutta
che un ragazzo fa cadere dall’albero.
Quale è il significato di un’opera come questa? La critica
la inserisce all’interno di un gruppo di quattro tele che rappresentano ‘scene
di genere’ (le altre tre ritraggono una pescivendola, una pollivendola e una
scena di cucina) ed è facile associare a immagini di questo tipo (come per i
coevi dipinti fiamminghi) significati allegorici - ad esempio riferimenti ai
quattro elementi - moraleggianti, che
ricordano la vanitas, la fragilità della vita o complessi riferimenti
cristologici.
Qualunque sia il significato vero o presunto di questo
dipinto, resta intatto il fascino e la delicatezza con cui Campi ha riprodotto
ogni singolo frutto, perfino le piccole more di gelso e la bellezza di quei
fiori rosa che visti da vicino (se siete di Milano o ci passate, andate alla
Pinacoteca di Brera e osservateli da vicino) sono proprio indimenticabili.
Ovunque si legge che questo è uno dei precedenti importanti
per la nascita della natura morta come genere autonomo, qui siamo ancora agli
inizi: una scena di genere nella quale le diverse qualità di frutta e ortaggi sono
separate l’una dall’altra, ciascuna in un proprio recipiente e non raccolte in
una composizione unitaria (come nella Canestra di Caravaggio ad esempio),
mostrate a chi guarda come in una sorta di ‘capriccio vegetale’ in cui cose che
di fatto in natura non si possono trovare tutte insieme sono qui esposte
all’occhio divertito e curioso di chi guarda.
A giovedì per qualche considerazione sulla sistematica
mancanza di tempo che (pare) affligge la maggior parte di noi.
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